Siamo ai primi di
Giugno e forse ancora un po’ in anticipo sulla stagione dei 4.000. Purtroppo gli impegni lavorativi e familiari non lasciano troppo
spazio per tentare le nostre piccole imprese in periodi più propizi.
Per questo motivo, accompagnato da Adriano ed Alessandro,
mi decido a tentare comunque l’ascensione del Castore. Per me
ed Alessandro è la prima salita a questa quota, Adriano ha una
maggiore esperienza.
Utilizziamo gli impianti fino a circa 2.700 mt e quindi cominciamo a
camminare lungo un sentiero ben tracciato
ma estremamente accidentato. Il tempo non promette niente di
buono e non riesco a
nascondere una certa apprensione. L’umore dei miei compagni è
decisamente migliore del mio. La salita, con l’aumentare della quota,
si fa sempre più gravosa. Ciò nonostante, grazie al buon allenamento
della stagione invernale, procediamo spediti
guadagnando velocemente le centinaia di metri di dislivello che ci
separano dal rifugio Quintino Sella. Non posso dire che il paesaggio sia
particolarmente interessante, infatti, contrariamente agli ambienti ai
quali siamo abituati, l’ambiente si rivela completamente brullo. Le
frane ed i cumuli di
detriti di roccia originata quasi sicuramente da fenomeni di
metamorfismo, si susseguono in un grigiore opaco,
reso spesso surreale da
nuvole basse che con i loro continui spostamenti
rendono a tratti invisibile
il sentiero. In me continua a maturare una certa
preoccupazione per quello che ci aspetta e la sensazione
di pesantezza che mi porto dentro non fa che aumentare.
Come al solito per la preparazione della gita, mi sono affidato
alle “capacità organizzative” del mio nuovo compagno di avventure
(Adriano), il quale non fa altro che coinvolgermi di continuo in casini
alpinistici, con gravi conseguenze per le mie coronarie. Il fatto che continui a mantenersi vago in
merito alle caratteristiche dell’ascensione,
eludendo le mie domande, non fa
altro che allarmarmi. Lo zaino comincia a pesare ed il tempo
peggiora ulteriormente. Di punto in bianco ci troviamo di fronte ad una
cresta lunga alcune
centinaia di metri. L’intero percorso si presenta molto aereo ed
attrezzato con una corda fissa. Il paesaggio è spettrale. La cresta per
quanto piuttosto ampia, è in gran parte formata da grossi blocchi di
pietra sconnessi, che il fato ha provveduto a disporre affinché qualche
povero sprovveduto quale il sottoscritto, percorra come un ponte
naturale. La superficie è già ricoperta da un sottile strato di
nevischio che la rende estremamente scivolosa e come da programma, la
“fantozziana” tempesta, incomincia
ad imperversare giust’appunto con il nostro arrivo. Il vento spazza il
percorso e ci fermiamo un attimo per decidere sul da farsi. Io sono
piuttosto restio a proseguire. Oltre alla preoccupazione del percorso
che ci attende difatti, non posso fare a meno di pensare al ritorno.
Cosa succede in queste situazioni? Scende tanta neve? Domani sera
potremo ripercorrere con tranquillità il
sentiero che ci dovrebbe riportare
a valle, dove le persone
normali girano in ciabatte e
pantaloncini corti? Mi rendo conto che questo ambiente mi è
completamente sconosciuto. Adriano, ovviamente, non ha dubbi (che
palle!). Figurarsi Alessandro. Effettivamente la logica ci induce ad una
scelta obbligata e quindi,
vista la vicinanza del rifugio, decidiamo infine di proseguire. |
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Un passo dopo l’altro ci
avventuriamo lungo il percorso aereo, mentre la visibilità diminuisce
ulteriormente. Il vento è freddo ma io sudo dentro la mia tuta in
terinda. Non disdegno l’aiuto del canapone
al quale mi aggrappo spesso, non tanto per avere un aiuto di tipo
tecnico, quanto per avere il conforto di un appiglio. Studiandolo più
attentamente mi rendo conto che, per quanto il diametro sia decisamente
rassicurante, in alcuni punti è talmente lesionato che sicuramente non rappresenta il migliore degli
esempi da portare per la sicurezza
in montagna. La
preoccupazione cede il posto alla curiosità e mi ritrovo a cercare di
indovinare il paesaggio ai lati della cresta. L’unica cosa che però
mi è chiara, è che da entrambi i lati vi sono centinaia di metri di
strapiombo. Cazzo però, la
neve a metà Giugno mica l’avevo prevista! Superiamo un piccolo ponte
sospeso che si rivela essere l’unica parte sicura del percorso e
finalmente, dopo pochi minuti, sbuchiamo alla fine del sentiero.
L’uscita dalla cresta dà su un vigliacchissimo lastrone scivoloso che
mi strappa, proprio all’ultimo metro, una colorita imprecazione
rivolta a personaggi noti ai fedeli di religione cattolica. A poche
decine di metri, tra le nebbie, distinguiamo i contorni del rifugio.
Contrariamente ad ogni aspettativa non è vuoto. Anzi, a complicarci la
vita c’è un nucleo duro di probabili ex alpini di origine veneta che,
assolutamente incuranti
della quota (3.400 mt), ingolla ombre a tutto spiano intonando a
squarciagola canzoni tristissimeee!!! Fuori il maltempo la fa da
padrone. Il rifugio è la classica costruzione in legno con
sala comune al piano terreno e camere collettive al piano
superiore. Dopo avere cenato frugalmente, ci addormentiamo a fatica. La
notte trascorre lenta e disturbata da un leggero mal di testa e dal
russare degli altri ospiti. Ritardiamo
comunque la nostra sveglia
in quanto anche per il mattino le previsioni non sono tra le migliori.
Quando ci alziamo sono
circa alle 5,30 e dopo avere fatto colazione con del thè e delle nostre
provviste, restiamo per qualche tempo indecisi sul da farsi. La maggior
parte delle cordate è nelle stesse nostre condizioni ma ad un certo
punto, una guida con relativi clienti decide di partire. Adriano (sempre
lui!), propone l’inseguimento. Come al solito vengo messo in minoranza
e dopo avere calzato scarponi e ramponi siamo in movimento. Percorriamo
all’incirca 50 mt nella nebbia prima di avvistare i contorni della
cordata che ci precedeva ritornare sui propri passi. Abbiamo giusto il
tempo di domandarci tra noi “cosa facciamo?”. La guida ci incrocia,
ci guarda e dice “Attenti
ai fulmini”. Beh, forse è meglio tornare indietro… Il resto non è
che la patetica ritirata lungo il percorso dell’andata. L’unica
parte delicata del percorso rimane il crestone, che durante la notte si
è caricato di un sottile ed infido strato di neve. Contrariamente a
quanto accaduto all’ andata, il passo si fa comunque più sicuro e ci
godiamo il ritorno nel grigiore irreale di questa fredda giornata
estiva.
Ma torneremo!
Beseka
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