CURIOSITA'

 

RELAZIONE  DELLA  PRIMA  ASCENSIONE  INVERNALE  DEL

 MONTE  LEGNONE

 

1-2-3  FEBBRAIO  1891

Per gentile concessione dei gestori del Rifugio Roccoli Lorla

(dall'archivio CAI Pagnona)

 

Monte Legnone 2610 m. (gita sociale della Sezione di Como).

         Mai, per nessuna passata escursione invernale la Sezione di Como ebbe un drappello tale di aderenti. Eravamo otto: avv. Pietro Rebuschini, Paolo Finzi-Perrier, Gio. Battista Magni, Ignazio Mazzucchelli, Rodolfo Pozzi, Leopoldo Redaelli, avv. Enea Tatti, avv. Michele Chiesa.

Al mattino del 1° febbraio partimmo da Como. Arrivati a Dervio verso mezzodì, pigliammo subito la montagna su per la valle del torrente Varrone. Tirava vento di scirocco e nubi grigie avevano coperto il sole: faceva relativamente caldo, e così, salendo quella ripida strada mulattiera, si provavan quasi tutti gl’inconvenienti che si soffrono viaggiando nell’estate. Si passò Vestreno, Sueglio, Introzzo, tutti ridenti e industriosi paeselli. Lasciammo addietro i maestosi castani e si toccò il regno delle conifere. Il Legnone è l'unica montagna delle nostre prealpi che possegga ancora foreste di larici e di abeti; l’ingorda accetta dei boscaiuoli le ha finora rispettate. All'alpe Lavadè il sentiero finisce, e qui si dovette rimandare cavallo e cavallaro, che avevamo preso pel trasporto dei bagagli. Ripigliammo la salita coi nostri carichi sulle spalle affondando nella neve molle fin sopra al ginocchio. Però la meta non distava di molto e su più in alto le casine dei Roccoli Lorla ci sorridevano. Verso le 4, con tempo sempre più cupo, si arrivò al grazioso e comodo rifugio dei Roccoli Lorla (1463 m.) della Sezione di Milano. La guida Pietro Buzzella, che era ad attenderci al Roccoli, ci aveva preparato un pranzo luculliano. A notte tarda, su nelle stanzette tiepide, nei lettucci ben coperti, mentre fuori il vento urlava, si pigliò sonno.

Tutta la notte il vento soffiò forte; ma, quando l'alba colle sue pallide sfumature rosee e violacce portò il giorno, vedemmo il cielo nuovamente sereno e le vette dei monti incoronate con aureole di fiamme. Alle 6 ½ tutti eravamo in piedi. Si fecero due comitive: cinque soci che dolevano tornar a Como per la sera di quello stesso giorno, prima di partire, vollero salire la vetta del Legnoncino (1745 m.); gli altri tre, Rebuschini, Redaelli e Chiesa, colla guida, verso le 7, prese poche provviste, ben coperti ma non imbacuccati, si posero in marcia per il Legnone, rasentando la cresta sud della montagna.

Il vento non era ancora cessato e quella gelida tramontana ci fece maggiormente apprezzare i nostri passamontagne. Si camminava dapprima nella foresta di larici, affondando nella vergine neve farinosa, che il sole invernale non aveva ancor tocca. La neve era seminata d’orme di volpi e di martore: d'orsi non ne parlo; anzi mi son fatto la ferma convinzione che l'orso del Legnone sia sempre stato un mito. Uscimmo poi all'aperto, sui pendii erbosi: e l’alta neve, che era stata dal sole per qualche ora del giorno rammollita, ma subito dopo al tramonto gelata, presentava uno strato superiore resistente, ma non tale da sostenere il peso di una persona; di guisa che l'andare era faticosissimo; e quell'affondar ad un tratto giù in quelle buche, e quello sforzo di cavar fuori mezza la gamba per vedersela ricader dentro un passo avanti, metteva davvero a gran prova la nostra pazienza. E sotto poi, fra la neve molle, nascosti cespugli di rose dell’alpe impigliavano le nostre povere gambe mal custodite e difese dai lunghi gambali di lana. Due ore durò questo andar lento e doloroso finché raggiungemmo la cresta rocciosa; ma la roccia, schistosa e mobile, richiedeva doppio lavorio di braccia e di gambe. Finora però l'erta non presentava seri pericoli.

Ma arrivati sopra all'alpe di Agrogno, e traversati i canaloni per raggiungere la cresta di Albareda, dovemmo allora richiamar tutto il nostro sangue freddo e la nostra prudenza. Altre due ore ci costò questa traversata, che facemmo sempre legati, mentre colla piccozza scavavamo i gradini nella neve durissima. I nostri scarponi erano bensì muniti di ramponi, ma la pendenza imponente di quel difficile passaggio richiedeva che ci fossimo anche legati, perchè il nostro lavoro procedesse colla maggior sicurezza possibile. Qui la guida Buzzella, che non aveva mai fatto alcuna ascensione invernale, restò impressionata dallo stato della montagna e cominciò quasi a mettere in dubbio la riuscita della gita. Il buon uomo temeva altresì che, toccata ad ora tarda la cima, ci pigliasse poi la notte fra quei dirupi. Ma il nostro scopo si doveva ottenere: la vetta dei Legnone doveva essere per la prima volta d’inverno raggiunta dai soci della Sezione Comasca.

Alle 12 ½ , su pel contrafforte di Albareda, raggiungemmo l'altro rifugio alpino (2136 m). E’ una casupola bassa, della quale vedemmo solo il tetto, perché tutto attorno la circondava la neve. Sostammo un poco, è in fretta e furia si mangiò qualche boccone: e poi di nuovo in marcia. Per fortuna la neve era già stata, su per quelle ultime rocce, in gran parte portata via dalla tormenta; e la poca rimasta era molle, sicché la roccia mostrava tutte le fessure e gli appigli che facilitavano la salita.

Verso le 3, trafelati, toccammo la vetta. Taceva il vento e il sole ancor alto ci mandava tiepidi raggi. Si godeva la vista di gran parte delle Prealpi Retiche e in alto, in vasto semicerchio, le bianche ed elevate cime delle Alpi Centrali, dal maestoso Cervino al Pizzo dei Tre Signori.

Il ritorno è sempre più facile e l'andare è più sicuro. Ripassammo con quieto animo i canaloni di Agrogno; e quando il pendio cominciò a farsi più dolce, ci slegammo e facemmo la scivolata.

Intanto cadeva il sole; e la notte, che già si era stesa sul lago, ascendeva pigra per le strette gole e pei colli. Al riflesso del sole succedeva quello di vapori ranci e vermigli. Solo la cima del Legnone restava illuminata quale faro immenso.  La notte serena ma senza luna ci prese sulle rocce. Lentamente le sorpassammo e poi barcollando ed intoppando ad ogni passo raggiungemmo la foresta dei larici. Il silenzio qui in quelle ore notturne diventò lugubre. Ombre sovra ombre, alberi sovra alberi. Sempre le stesse cupole, fosche, dietro, innanzi, da un lato, dall’altro, implacabili. Quantunque privi di lanterna, la guida Buzzella, pratica fin da fanciullo di quelle località, ci portò in salvamento. Ma Intanto noi non ne potevamo proprio più, e certe volte per pigliar riposo ci lasciavamo cadere in quella neve molle, come sopra un soffice letto di piume. Verso le 8 finalmente, dopo tredici ore di una marcia così faticosa, arrivammo al Roccoli.

         Al mattino discendemmo la valle un po' alla scapestrata. E verso sera ritornammo a Como mezzo frollati per le due notti passate quasi senza chiuder occhio e con le ossa sfiaccolate, ma però, dentro noi, soddisfattissimi.

                                                        Dott. Michele CHIESA (Sezione di Como).

 

    

 Rifugio Roccoli Lorla                      Monte Legnone      

 

 

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